Clausola ‘simul stabunt, simul cadent’: impossibile parlare di revoca dell’incarico

Il riferimento è alla cessazione di tutti i componenti dell’organo amministrativo, a fronte della revoca anche solo di uno di loro

Clausola ‘simul stabunt, simul cadent’: impossibile parlare di revoca dell’incarico

La clausola statutaria ‘simul stabunt, simul cadent’, che comporta la cessazione di tutti i componenti dell’organo amministrativo in caso di revoca anche solo di uno di loro, non equivale ad una revoca dall’incarico e, quindi, non fa sorgere alcun diritto risarcitorio a favore dell’amministratore decaduto, il quale, accettando l’iniziale conferimento dell’incarico, aderisce implicitamente alle clausole dello statuto sociale che regolano le condizioni di permanenza degli organi sociali, compresa l’eventualità di una cessazione anticipata dalla carica senza risarcimento del danno. Questi i paletti fissati dai giudici (ordinanza numero 1121 del 16 gennaio 2025 della Cassazione), i quali, chiamati a prendere in esame le obiezioni sollevate da due consiglieri di sorveglianza, cessati anzitempo, di una società per azioni, aggiungono che solo l’uso abusivo del meccanismo connesso alla clausola ‘simul stabunt, simul cadent’ può rendere illecita la disposizione di revoca, ma, comunque, di questo abuso occorre fornire specifica prova. Secondo i giudici, la tesi proposta dai due ex membri del consiglio di sorveglianza non coglie nel segno poiché, laddove idealizza un’inesistente liason dangereuse tra clausola di decadenza e revoca dalla carica, è frutto di un’indebita sovrapposizione di piani di giudizio diversamente non comunicanti. In realtà, difatti, l’implicito effetto revocatorio – che si vorrebbe vedere nel fatto che, revocati alcuni amministratori in assenza di giusta causa, anche gli altri che, per effetto della clausola simul stabunt, simul cadent, vengono a cessare dalla carica, verrebbero ad essere oggetto di una revoca ingiustificata – non è elemento qualificante della fattispecie, dato che essa trova la sua giustificazione nella necessità di garantire gli equilibri all’interno del consiglio di amministrazione della società e di evitare che l’equilibrio iniziale possa essere compromesso per effetto del meccanismo di cooptazione, pure previsto dal Codice Civile. In questa cornice, identificando esattamente la fisionomia dell’istituto e ponendone in chiaro l’autonomia concettuale, la clausola esaminata, se applicata senza fini abusivi, non equivale ad una revoca dall’Incarico e non fa sorgere alcun diritto a favore dell’amministratore decaduto, il quale, accettando l’iniziale conferimento dell’Incarico, aderisce implicitamente alle clausole dello statuto sociale che regolano le condizioni di indicazione e permanenza degli organi sociali e i relativi poteri, adesione che implica anche l’accettazione dell’eventualità di una cessazione anticipata dalla carica senza risarcimento del danno nel caso di applicazione della clausola statutaria. Tirando le somme, non è dunque a parlarsi di revoca implicita, in ragione della cui ingiustizia si possa poi reclamare un qualsivoglia ristoro.

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